LA CORTE DI APPELLO

    Ha   pronunciato   la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  n.
  4771/1998 RGA a carico di Maroni Roberto + 5;
    In ordine alla vicenda processuale.
    Gli  onorevoli  Maroni  Roberto,  Bossi Umberto, Borghezio Mario,
  Caparini  Davide  Carlo, Martinelli Piergiorgio e Calderoli Roberto
  venivano  tratti  a  giudizio  davanti  al pretore di Milano con le
  seguenti imputazioni:
        capo A) reato di cui agli artt. 110-337-339 c.p., perche', in
  concorso  morale  e  materiale  tra di loro e con altre persone non
  identificate,  ciascuno  di essi rafforzando il proposito criminoso
  degli  altri e creando le condizioni materiali per la perpetrazione
  del   reato,  usavano  violenza  e  minaccia  nei  confronti  degli
  ufficiali  della  Polizia  di  Stato  (sez.  Digos  Verona e Milano
  ufficio  prevenzione generale Milano) che stavano procedendo ad una
  perquisizione  locale presso la sede della Lega Nord di Milano, via
  Bellerio  41,  ordinata  dal procuratore della Repubblica di Verona
  con  i  decreti n. 81-100-101/1996 r.g. del 17 e 18 settembre 1996,
  consistite,  tra  l'altro,  nello spingerli, strattonarli, sferrare
  loro  calci  e pugni da cui derivavano lesioni al commissario dott.
  Gianluca  Pallauro,  all'ispettore  Fanelli Giordano, all'ispettore
  Degianpietro Alfredo, all'ispettore Paolucci Osvaldo, all'ispettore
  Amadu  Giovanni,  all'agente  Casale Claudio e agli agenti Nuvoloni
  Maria Grazia, Italiano Angelo, Grassetti Mauro, D'Ippolito Antonio,
  Mancarella  Carlo  e  Franciosa  Pompeo,  e  in particolare: Maroni
  Roberto   afferrava   per   le   gambe   prima  il  sovraintendente
  Mastrostefano  cercando di trascinarlo a terra e quindi l'ispettore
  capo   Amadu  intervenuto  in  aiuto  del  collega;  Bossi  Umberto
  strattonava   violentemente   l'ispettore  Amadu  strappandogli  il
  giubbino  e  la  giacca  d'ordinanza;  Caparini  Davide  Carlo  sul
  pianerottolo di accesso alle scale ingaggiava una colluttazione con
  gli agenti per impedire loro di scendere le scale. Con l'aggravante
  dell'aver agito in piu' di cinque persone.
        capo  B)  reato  di  cui agli artt. 110-341 quarto comma c.p.
  perche',  in  concorso  morale  e materiale tra di loro e con altre
  persone non identificate, rafforzando ciascuno di essi il proposito
  criminoso  degli  altri  e  creando  le condizioni materiali per la
  commissione  del reato, oltraggiavano gli operanti della Polizia di
  Stato  nel  corso  della  perquisizione di cui al capo A), inveendo
  contro   di   loro   con  le  espressioni:  "fascisti",  "mafiosi",
  "Pinochet",  con  l'aggravante di aver recato le offese in presenza
  di piu' persone.
    Fatti  commessi  in  Milano  il  18  settembre 1996, allorche' la
  perquisizione  disposta  con  i citati decreti ex art. 250 c.p.p. a
  carico  di  Marchini  Corinto  e  demandata  per  l'esecuzione  dal
  procurarore  della  Repubblica  di Verona alla locale sezione della
  Digos  veniva estesa ad un locale ritenuto nella disponibilita' del
  Marchini presso la sede di Milano del partito Lega Nord.
    Nel corso del giudizio, che si svolgeva nell'arco di piu' udienze
  con  l'iniziale presenza degli imputati Bossi, Caparini, Martinelli
  e  Calderoli  - poi assentatisi - e nella contumacia degli imputati
  Maroni  e  Borghezio  il  pretore con ordinanza ampiamente motivata
  resa  in data 16 aprile 1998 rigettava l'istanza di sospensione del
  procedimento  proposta  dalla  difesa  con  riferimento all'art. 68
  primo   comma  della  Carta  costituzionale,  nonche'  riteneva  la
  manifesta    infondatezza    della    subordinata    eccezione   di
  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 555  c.p.p., sollevata in
  relazione agli artt. 3 e 25 della medesima Carta costituzionale.
    Il  giudicante - dato atto delle due missive inviate in data 13 e
  30  marzo  1998  dalla  Presidenza della Camera dei deputati con le
  quali   veniva  comunicato  che  per  iniziativa  dei  parlamentari
  imputati  gli  atti  concernenti  i fatti loro ascritti erano stati
  trasmessi  per  la valutazione di insindacabilita' alla competente,
  giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio - rilevava che
  ai  sensi  del  comma  primo del citato art. 68 della Costituzione,
  come  innovato  con  legge  cost.  n. 3/1993  ed  alla  stregua dei
  principi  espressi  in  materia  dalla  Corte  costituzionale nelle
  sentenze  n. 443/1993  e 265/1997, non era ravvisabile l'ipotesi di
  carenza  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario,  al  quale era
  inibito  di  pronunciarsi  difformemente in merito alle imputazioni
  (fatta  salva  la  facolta'  di sollevare conflitto di attribuzioni
  davanti  alla  Corte  costituzionale)  solo  a seguito del concreto
  esercizio - nel caso specie non ancora intervenuto - da parte della
  Camera del potere di valutare e qualificare positivamente, a tutela
  delle  prerogative  parlamentari, l'insindacabilita' della condotta
  ascritta  ai propri membri; riteneva pertanto che, nelle more della
  decisione adottanda dalla Camera, non sussistesse alcun obbligo per
  il  giudice  di  sospendere il procedimento, ma questi fosse tenuto
  alla   valutazione   autonoma   e   preliminare   circa  l'eccepita
  insindacabilita'  dei  fatti sottoposti a suo giudizio, valutazione
  che  di  fatto  compiva  negativamente  alla stregua della natura e
  delle  modalita'  dei fatti addebitati e della loro esplicazione al
  di fuori della sede parlamentare.
    Proseguito  il  giudizio,  all'esito  del dibattimento il pretore
  pronunciava  sentenza in data 22 luglio 1998 con la quale affermava
  la  responsabilita'  degli  imputati per i delitti loro ascritti in
  concorso; ravvisata la continuazione tra i fatti e concesse a tutti
  le  attenuanti  generiche con giudizio di equivalenza, infliggeva a
  Bossi  Umberto  la  pena  di mesi sette di reclusione e ai restanti
  imputati  Maroni  Roberto,  Borghezio Mario, Caparini Davide Carlo,
  Martinelli  Piergiorgio e Calderoli Roberto la pena di mesi otto di
  reclusione,  con  i doppi benefici di legge per tutti, ad eccezione
  che  per Martinelli che fruiva del solo beneficio della sospensione
  condizionale  della  pena, essendo per questi precluso quello della
  non  menzione  della  condanna  da  un  precedente  penale. Inoltre
  condannava  gli  imputati  in solido al risarcimento dei danni - da
  liquidarsi  in separata sede - nonche' alla rifusione delle spese a
  favore  della parti civili costitituite, ispettore Amadu Giovanni e
  agente Casale Claudio (che nella vicenda, al pari di altri operanti
  non   costituitisi,   avevano   subito   lesioni   personali),  con
  assegnazione  di  provvisionale  di  lire 5 milioni per ciascuna di
  dette parti.
    In  motivazione  il  pretore,  dopo  aver  respinto  le eccezioni
  preliminari  sollevate  dai  difensori  -  in specie l'eccezione di
  incompetenza  del  giudicante per essere competente il tribunale in
  relazione  all'aggravante  di  cui all'art. 339 c.p., contestata in
  ordine  ai  fatti  di  resistenza,  e  l'eccezione  di immunita' in
  relazione  alla  posizione  di Bossi Umberto per la sua qualita' di
  parlamentare  europeo - riteneva connotate da sicura attendibilita'
  le testimonianze sostanzialmente concordanti rese in giudizio dagli
  operanti   e   riscontrate  dai  filmati  ripresi  dalle  emittenti
  televisive  sia pubbliche che private presenti in luogo (TG RAI, TG
  4,  TG  5,  Antenna  Tre),  a  confronto con quelle, di piu' dubbia
  attendibilita', rese dai simpatizzanti di partito e dai giornalisti
  presenti (la cui percezione dei fatti appariva viziata dal contesto
  ambientale).
    Dava  quindi  conto, sulla scorta delle risultanze dibattimentali
  ed  in  specie  delle  visioni  fornite dai filmati, della dinamica
  della vicenda come di seguito sintetizzata:
        la  perquisizione  aveva  esecuzione  frazionata giacche' gli
  operanti,  sotto  la  guida  del commissario dott. Pallauro, giunti
  nella  mattinata  presso  la sede di via Bellerio - onde estendere,
  come da decreto dispositivo dell'atto di indagine, la perquisizione
  a  carico  del  Marchini presso un locale che questi aveva indicato
  essere  ivi  nella  sua disponibilita' - incontravano l'opposizione
  dei  presenti e ritenevano pertanto di rivolgersi per istruzioni al
  procuratore di Verona;
        ritornati   in   luogo   nel   pomeriggio   in   possesso  di
  provvedimento  integrativo  con  ordine di procedere, trasmesso via
  fax  dalla  competente procura, e rinvenuta la presenza di numerosi
  simpatizzanti  di partito oltre che quella, non da loro sollecitata
  degli   organi   di  stampa  e  dei  "media"  in  genere,  dovevano
  affrontare,  dopo  una  prima contestazione di non autenticita' del
  provvedimento  trasmesso,  il  cordone  formato  sin  dall'atrio di
  entrata  dagli  attuali  imputati  e da altri soggetti aggregatisi,
  quindi  la difficoltosa ascesa, nell'assembramento di persone e con
  l'accompagnamento  di  cori  di  insulti  che vedevano promotore il
  Borghezio, della prima rampa di scale e il percorso di un corridoio
  per  poi  ridiscendere sino al sottoscala ove era ubicato il locale
  al quale erano diretti;
        era durante questo tragitto - che, benche' non rappresentasse
  l'unica   e   piu'   comoda   via   di   accesso,   veniva  seguito
  presumibilmente  perche'  indicato  proprio  dal  Marchini - che si
  verificavano reiterati atti di aggressione fisica oltre che verbale
  nei   confronti  dei  pubblici  ufficiali  ed  in  particolare  gli
  specifici episodi di violenza descritti nel capo A) di imputazione,
  riconducibili  all'azione  rispettivamente di Maroni, di Bossi e di
  Caldarini e documentati dai filmati televisivi;
        sulla  porta  del  locale  in  questione risultava apposto un
  cartello  cartaceo  la  cui  indicazione dattiloscritta "Segreteria
  politica  -  Ufficio  on. Maroni"  induceva il comm. Pallauro ad un
  ulteriore  contatto telefonico con il procuratore della Repubblica,
  che dava ordine di portare a termine la perquisizione;
      la   prosecuzione  dell'operazione,  culminata  infine  con  lo
  sfondamento  della  porta, era tuttavia ostacolata con vari atti di
  aggregazione  dagli  imputati  accalcati  davanti  alla  porta e in
  particolare  era  in  tale  contesto  che  il  comm. Pallauro, come
  mostrato  dai filmati, veniva stretto tra gli imputati Martinelli e
  Borghezio  il  quale  ultimo  lo afferrava per la cravatta come per
  soffocarlo;
        la  vicenda  vedeva da ultimo l'on. Maroni subire un malore e
  venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato
  al  pronto  soccorso  ospedaliero,  ove  gli  venivano  riscontrate
  lesioni   per  le  quali  sporgeva  querela,  oggetto  di  separato
  procedimento.
    Cosi'  ricostruita la vicenda, il pretore escludeva la ricorrenza
  dell'ipotesi  di resistenza passiva, alla stregua dei ripetuti atti
  di  violenza  commessi  dagli imputati a danno dei vari poliziotti;
  ravvisava  nei  fatti  il  concorso materiale o quanto meno morale,
  sotto  il  profilo del rafforzamento del proposito criminoso, degli
  imputati   stessi;  non  riteneva  sussistente  l'esimente  di  cui
  all'art. 4  d.lgs. n. 288/1944, sia in relazione all'estensione nei
  locali   della  Lega  Nord  della  perquisizione  -  legittimamente
  disposta  con  decreto  ex  art. 250  c.p.p..  corredato da decreto
  integrativo  trasmesso  via  fax,  la cui conformita' all'originale
  risultava certa pur in difetto dell'attestazione di cui all'art. 42
  disp.   att.   c.p.p.  -  sia  in  riferimento  alle  modalita'  di
  esecuzione, in assenza di prova dei pretesi comportamenti arbitrari
  come  pure  arroganti  o  ingiustificatamente  sgarbati delle forze
  dell'ordine   che  anzi  avevano  mostrato,  nonostante  l'indubbia
  tensione  sofferta  una condotta prudente ed equilibrata; osservava
  da  ultimo  che  la  reazione degli imputati risultava in ogni caso
  sproporzionata  e  che  quand'anche  essi  avessero  percepito come
  illegittima  la  perquisizione,  sarebbero stati comunque tenuti ad
  avvalersi  dei  mezzi  consentiti  dall'ordinamento  giuridico  per
  opporvisi.
    Di qui la pronuncia di condanna.
    La  sentenza  e'  stata  impugnata  davanti  a questa Corte dagli
  on. Bossi,  Calderoli,  Caparini  e Martinelli, con atto congiunto,
  nonche' dall'on. Borghezio con separato appello.
    Il  difensore  di  Bossi,  Calderoli,  Caparini  e  Martinelli ha
  dedotto   in   primo  luogo  l'insussistenza  dei  fatti  di  reato
  addebitati  ai  suoi  assistititi  e la loro mancata commissione da
  parte degli stessi, lamentando il mancato rigo re del primo giudice
  nel  valutare  le  testimonianze  rese  dagli  operanti,  specie  a
  raffronto   delle  divergenti  dichiarazioni  dei  giornalisti;  ha
  eccepito  la  ricorrenza  di  brutalita'  e  di atti di aggressione
  fisica  e  verbale  da  parte  dei poliziotti, non riconosciuta dal
  Pretore,  e  la parzialita' dell'efficacia probatoria dei filmati -
  diretti a rappresentare solo specifici momenti e non il complessivo
  quadro della vicenda - rilevando per altro verso l'incompatibilita'
  della  ricostruzione operata in sentenza con le certificate lesioni
  subite   dal  coimputato  Maroni;  ha  ribadito  che  l'opposizione
  esercitata  degli  imputati era motivata dalla illegittimita' della
  perquisizione  in  atto, e non da intento di sterile resistenza. In
  via subordinata ha chiesto la declaratoria di non doversi procedere
  nei   confronti  degli  imputati  ai  sensi  dell'art. 4  d.lgs.  n
  288/1944, sia per l'illegittimita' della perquisizione disposta con
  provvedimento   invalido  ed  eseguita  in  un  ufficio  che,  come
  risultato   in   dibattimento,   non   era   nella   disponibilita'
  dell'indagato  Marchini.  sia perche' essa integrava violazione del
  domicilio  del parlamentare Maroni, sia infine per il comportamento
  scorretto  e  di  sostanziale  ricerca  dello  scontro fisico degli
  operanti,  che non avevano inteso utilizzare la via di accesso piu'
  facile, e non presidiata, al locale da perquisire.
    A  sua  volta  il difensore di Borghezio Mario, riproposta con il
  primo  motivo  di  appello  l'eccezione di incompetenza per materia
  gia'  disattesa  dal  pretore,  con il successivo motivo ha chiesto
  l'assoluzione  del  suo  assistito dal reato di resistenza, per non
  aver  commesso  il  fatto,  per  difetto  di  prova  circa  un  suo
  comportamento  attivo  o  di  rafforzamento  dell'altrui  proposito
  criminoso,  ovvero  quanto  meno  perche'  il fatto non costituisce
  reato,  stante  la  palese  illegittimita'  della  perquisizione di
  locali  costituenti  domicilio  di  parlamentari  e l'arbitrarieta'
  della  condotta dei pubblici ufficiali operanti. Quanto al ritenuto
  reato  di  oltraggio,  il  difensore ha invocato l'insindacabilita'
  delle   opinioni   espresse   dal  suo  assistito  nella  veste  di
  parlamentare.  Da ultimo ha lamentato l'eccessivita' della pena, da
  ridursi  per giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche gia'
  concesse  e  per il riconoscimento dell'ulteriore attenuante di cui
  all'art. 62  n. 1 c.p., si' da poter pervenire a sostituzione della
  sanzione  detentiva  con  quella  pecuniaria ai sensi dell'art. 53,
  legge n. 689/1981.
    In data 26 marzo 1999, nelle more del rinvio dell'udienza fissata
  per  il  giudizio di secondo grado, disposto per motivi procedurali
  (mancata  notifica  per  l'imputato  Bossi  e  omesso  avviso ad un
  difensore),   e'  pervenuta  a  questa  Corte  comunicazione  della
  Presidenza   circa  le  deliberazioni  adottate  dalla  Camera  dei
  deputati  sulle  proposte  della  giunta  per  le  autorizzazioni a
  procedere,  con  successive  votazioni  per ciascuno dei membri qui
  imputati, nella recente seduta del 16 marzo 1999.
    La   Camera  si  e'  espressa  per  l'insindacabilita'  ai  sensi
  dell'art.  68,  primo  comma  della  Carta costituzionale dei fatti
  oggetto   di  entrambe  le  imputazioni,  ravvisando  negli  stessi
  l'espressione  di  opinioni da parte di parlamentari nell'esercizio
  delle  loro  funzioni,  per  quanto  attiene agli onorevoli Maroni,
  Bossi,  Caparini,  Martinelli  e Calderoli, conformemente ha deciso
  nei   confronti   dell'onorevole   Borghezio  per  quanto  concerne
  l'imputazione  di  oltraggio  aggravato  di  cui  al capo b), e per
  contro  diversamente  -  a  quanto risulta dall'allegato, reseconto
  stenografico  della  seduta,  per  un  disguido  intervenuto  nella
  relativa  votazione - in relazione ai fatti di resistenza di cui al
  capo a), negandone per tale imputato l'insindacabilita'.
    Con  riferimento  a  quest'ultimo  reato, occorre rilevare che le
  deliberazioni  della Camera si sono discostate dalla proposta della
  Giunta  per  le  autorizzazioni a procedere, che si era pronunciata
  nel  senso  che  i fatti oggetto dell'imputazione di resistenza non
  potessero ricondursi a opinioni espresse da deputati nell'esercizio
  delle    funzioni   parlamentari, limitando   la   valutazione   di
  insindacabilita'   ai   fatti   contestati   con  l'imputazione  di
  oltraggio.
    In ordine al ravvisato conflitto di attribuzioni.
    Il  relatore  on. Antonio Borrometi, nella relazione depositata e
  illustrata  nella seduta parlamentare del 16 marzo 1999,ha motivato
  le distinte proposte della giunta per le autorizzazioni a procedere
  in giudizio nel senso che gli atti integranti l'ipotesi di reato di
  resistenza  addebitato  al  capo a) di imputazione agli on. Maroni,
  Bossi,  Borghezio,  Caparini,  Martinelli e Calderoli fossero - per
  loro  natura  violenta  -  estranei,  come  era giudizio largamente
  prevalente  dei  membri della Giunta, a qualsivoglia manifestazione
  di  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle funzioni parlamentari
  ovvero  alla  prospettata prosecuzione di una simile manifestazione
  in  forma  di  particolare  veemenza e pertanto dovessero ritenersi
  palesemente  esclusi  dall'ambito  di  applicabilita' dell'art. 68,
  primo  comma  della Costituzione; che, diversamente, le espressioni
  utilizzate  dai  deputati  e  oggetto dell'imputazione del reato di
  oltraggio  di  cui  al  capo  b),  benche'  in  astratto  di natura
  ingiuriosa,  fossero riconducibili sostanzialmente a manifestazione
  di  critica  politica  e  dunque  di  opinioni, nel contesto di una
  protesta  di valore anche simbolico svolta da deputati esponenti di
  un  partito  politico di opposizione, in presenza di rappresentanti
  della   pubblica   opinione,   contro   un'attivita'   delle  Forze
  dell'ordine   che,   sia   pure   legittima,  appariva  invasiva  e
  penalizzante nei confronti del partito stesso.
    Quanto   all'attinenza   dei  fatti  in  esame  con  le  funzioni
  parlamentari,  il  relatore  ha  fatto riferimento - come meglio si
  dira'  in  seguito - al1e tesi e finalita' politiche ispiratrici di
  siffatta  protesta  e perseguite dai deputati della Lega Nord anche
  nell'ambito della Camera.
    Il difforme esito delle votazioni in aula, quanto alla deliberata
  estensione  del  giudizio  di  insindacabilita'  anche  ai fatti di
  resistenza  ascritti  al  capo A) (con eccezione nei soli confronti
  dell'on. Borghezio),  appare  motivato dal rilievo del carattere da
  ritenersi  meramente  formale,  ad  avviso  degli intervenuti nella
  discussione,  della  distinzione  tra  le  due  ipotesi  delittuose
  addebitate  e  della  medesima finalita' che animava i parlamentari
  imputati nella complessiva vicenda.
    Ora,   questa   Corte   ha  piena  consapevolezza  del  carattere
  vincolante  delle deliberazioni della Camera e della preclusione di
  censure che attingano le stesse nel merito.
    Cio'  che  tuttavia  intende  contestare e' la valutazione che la
  Camera  ha  operato  in  ordine  ai  presupposti  di applicabilita'
  dell'art. 68  della  Costituzione.  Tale  norma,  invero, nella sua
  portata testuale e nell'interpretazione reiteratamente datane dalla
  Corte    costituzionale,    pone    quale   condizione   essenziale
  dell'insindacabilita'  dei  comportamenti  tenuti  e delle opinioni
  espresse  dai  membri  del  Parlamento  la  sussistenza di un nesso
  funzionale fra questi e l'esercizio del mandato parlamentare.
    La  stessa  Corte,  nel  definire  il  contenuto e i limiti della
  funzione  parlamentare,  ha,  peraltro,  tracciato in termini netti
  l'ambito   di   operativita'   di   tale  necessario  collegamento,
  affermando  da un lato che "la funzione parlamentare non si risolve
  solo  negli  atti  tipici,  ricomprendendo anche quanto di essi sia
  presupposto  e  conseguenza"  e d'altro canto, che non e' possibile
  ricondurvi  l'intera  attivita'  politica  svolta  dal  deputato  o
  senatore,  in quanto "tale interpretazione finirebbe per vanificare
  il nesso funzionale posto dall'art. 68, primo comma e comporterebbe
  il   rischio   di  trasformare  la  prerogativa  in  un  privilegio
  personale" (sentenza n. 289/1998 e 375/1997.
    Orbene,   sembra   ai  giudicanti  che,  nel  caso  concreto,  la
  ricorrenza  di quel nesso funzionale sia da porsi in fondato dubbio
  e  che  le motivazioni addotte dal relatore - per giunta a sostegno
  della   sola  insindacabilita'  dei  comportamenti  qualificati  ex
  art. 341 c.p. - non diano conto di un iter argomentativo confacente
  al  dettato  costituzionale  e  alle autorevoli indicazioni fornite
  dalla  Corte  in  ordine ai criteri cui attenersi nell'applicazione
  dell'art. 68, primo comma.
    Posto  che  nel  corso del dibattito che ha preceduto la delibera
  della  Camera  si  e'  fatto  riferimento  al  contesto cui i fatti
  oggetto  di  procedimento  penale  sono  maturati,  e'  il  caso di
  sottolineare   che   questi   si   collocano   nell'ambito  di  una
  perquisizione  locale,  disposta  dal  p.m.  nei  confronti  di  un
  soggetto  non  coperto  da  immunita'  parlamentare ed estesa ad un
  locale  di  presunta pertinenza dello stesso all'interno della sede
  della Lega Nord, sede privata di un partito politico.
    Il relatore on. Borrometi ha indicato l'attinenza con le funzioni
  parlamentari delle espressioni addebitate ai parlamentari esponenti
  della Lega Nord e riportate al capo b) di imputazione, nella decisa
  battaglia dagli stessi condotta anche in sede parlamentare a favore
  delle  loro  tesi  politiche  "tanto  da ottenere la legittimazione
  della  denominazione  del loro gruppo parlamentare, il cui fine ...
  e'  individuato nella "indipendenza della Padania . In questo senso
  -  ha  concluso  -  la  viva  protesta,  anche  attraverso  epiteti
  ingiuriosi,  a  fronte  di una attivita' della Polizia che, sia pur
  legittima,  appariva simbolicamente come una minaccia nei confronti
  di  tali  fini,  puo'  essere  qualificata  come  manifestazione di
  opinioni espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari".
    Ora  questi  giudici  dubitano  che  - stando alla prospettazione
  fattane  dal relatore - l'azione di difesa di una tesi strettamente
  programmatica  politica,  configuri,  solo  perche'  non estranea a
  rivendicazioni  avanzate anche nell'ambito parlamentare, quel nesso
  con  le  funzioni  proprie dei deputati - quand'anche da intendersi
  estese  all'espletamento  del mandato ricevuto dagli elettori e non
  circoscritte  intra  moenia  -  che,  come  si  e'  sopra detto, e'
  presupposto essenziale del potere valutativo attribuito alle Camere
  circa  l'insindacabilita'  delle  opinioni  e dei comportamenti dei
  membri  di  rispettiva  appartenenza;  che  siffatta difesa non sia
  piuttosto   e  rimanga  un'azione  di  natura  meramente  politica,
  spiegata  in  sede  di  partito a scopi dimostrativi e divulgativi,
  come del resto evidenziato dallo stesso relatore.
    Tanto  meno il nesso funzionale occorrente appare ravvisabile con
  riferimento  ai  comportamenti  ricondotti nella fattispecie di cui
  all'art. 337    c.p.,   la   cui   rilevanza   penale   sta   nella
  contrapposizione violenta a quello stesso potere statuale di cui la
  funzione parlamentare e' espressione di rango elevato.
    E'   del   resto  significativo  che  la  stessa  giunta  per  le
  autorizzazioni a procedere, formulando le proposte. avesse ritenuto
  di escludere ogni possibile collegamento tra le condotte contestate
  a  titolo  di  resistenza, ancorche' lette nel contesto di protesta
  ideologica  in cui si muove l'azione politica della Lega Nord, e le
  funzioni  parlamentari  esercitate  dagli  imputati. Neppure appare
  giovane sotto tale profilo di richiamo, che parrebbe emergere dagli
  interventi  in  sede  di dibattito in aula, a forme di tutela della
  liberta'  di associazione e di manifestazione di pensiero, ed ossia
  a  quei  diritti  primari  garantiti  dagli  artt. 18  e  21  della
  Costituzione,   peraltro   nei  confronti  della  generalita',  dei
  cittadini, a prescindere dalle funzioni esercitate, e ovviamente in
  un quadro di compatibilita' con il rispetto di altri diritti, quale
  il  diritto  della  persona all'integrita' fisica e morale, nonche'
  dei  principi  ordinamentali  dello  Stato,  pure assistiti da pari
  garanzia costituzionale.
    Conseguentemente  questa Corte reputa che sia del tutto opinabile
  la  correttezza  del  processo valutativo compiuto dalla Camera dei
  deputati  nel caso in esame; rileva che in tale modo si e' venuto a
  comprimere la sfera di attribuzione propria del potere giudiziario,
  precludendo  la  cognizione ad essa Corte demandata con gli appelli
  proposti  in  ordine  alla  rilevanza penale dei fatti contestati e
  alla  loro  riferibilita'  agli  imputati. Intende dunque avvalersi
  della  potesta'  del giudice ordinario, reiteratamente riconosciuta
  in tale situazione dalla Corte costituzionale (sentenze n. 443/1993
  e  129/1996),  di  sottoporre  a  verifica  del  medesimo organo di
  giurisdizione  costituzionale  l'uso  del  potere  esercitato dalla
  Camera  con  specifico riferimento alla ricorrenza e non arbitraria
  valutazione di quel nesso essenziale tra le "opinioni espresse" dai
  deputati  e  l'esercizio  della  funzione  parlamentare,  richiesto
  dall'art. 68 primo comma della Costituzione, e allo scopo sollevare
  conflitto di attribuzioni ai sensi dell'art. 37, legge n. 87/1953.
    Dispone   pertanto   che   gli  atti  siano  rimessi  alla  Corte
  costituzionale  per  la  soluzione  del  conflitto tra poteri dello
  Stato  cosi'  sollevato  (soluzione  che  appare  preliminare anche
  all'esame  dell'eccezione  di  immunita'  gia'  disattesa dal primo
  giudice  e nuovamente prospettata in udienza davanti a questa Corte
  nell'interesse  di  Bossi  Umberto, quale parlamentare europeo); di
  conseguenza  da' atto della sospensione necessaria del procedimento
  penale  a  carico di Maroni Roberto, Bossi Umberto, Caparini Davide
  Carlo,  Martinelli  Piergiorgio e Calderoli Roberto in relazione ad
  entrambe  le  imputazioni elevate ed a carico di Borghezio Mario in
  relazione all'imputazione di cui al capo B).
      Dispone  altresi',  ravvisando  la  necessita'  di  trattazione
  unitaria  in ragione di connessione ex art. 12, comma 1, lett. a) e
  lett.  b)  la  sospensione  del  procedimento a carico di Borghezio
  Mano, avente ad oggetto l'imputazione di cui al capo A).