LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 4771/1998 RGA a carico di Maroni Roberto + 5; In ordine alla vicenda processuale. Gli onorevoli Maroni Roberto, Bossi Umberto, Borghezio Mario, Caparini Davide Carlo, Martinelli Piergiorgio e Calderoli Roberto venivano tratti a giudizio davanti al pretore di Milano con le seguenti imputazioni: capo A) reato di cui agli artt. 110-337-339 c.p., perche', in concorso morale e materiale tra di loro e con altre persone non identificate, ciascuno di essi rafforzando il proposito criminoso degli altri e creando le condizioni materiali per la perpetrazione del reato, usavano violenza e minaccia nei confronti degli ufficiali della Polizia di Stato (sez. Digos Verona e Milano ufficio prevenzione generale Milano) che stavano procedendo ad una perquisizione locale presso la sede della Lega Nord di Milano, via Bellerio 41, ordinata dal procuratore della Repubblica di Verona con i decreti n. 81-100-101/1996 r.g. del 17 e 18 settembre 1996, consistite, tra l'altro, nello spingerli, strattonarli, sferrare loro calci e pugni da cui derivavano lesioni al commissario dott. Gianluca Pallauro, all'ispettore Fanelli Giordano, all'ispettore Degianpietro Alfredo, all'ispettore Paolucci Osvaldo, all'ispettore Amadu Giovanni, all'agente Casale Claudio e agli agenti Nuvoloni Maria Grazia, Italiano Angelo, Grassetti Mauro, D'Ippolito Antonio, Mancarella Carlo e Franciosa Pompeo, e in particolare: Maroni Roberto afferrava per le gambe prima il sovraintendente Mastrostefano cercando di trascinarlo a terra e quindi l'ispettore capo Amadu intervenuto in aiuto del collega; Bossi Umberto strattonava violentemente l'ispettore Amadu strappandogli il giubbino e la giacca d'ordinanza; Caparini Davide Carlo sul pianerottolo di accesso alle scale ingaggiava una colluttazione con gli agenti per impedire loro di scendere le scale. Con l'aggravante dell'aver agito in piu' di cinque persone. capo B) reato di cui agli artt. 110-341 quarto comma c.p. perche', in concorso morale e materiale tra di loro e con altre persone non identificate, rafforzando ciascuno di essi il proposito criminoso degli altri e creando le condizioni materiali per la commissione del reato, oltraggiavano gli operanti della Polizia di Stato nel corso della perquisizione di cui al capo A), inveendo contro di loro con le espressioni: "fascisti", "mafiosi", "Pinochet", con l'aggravante di aver recato le offese in presenza di piu' persone. Fatti commessi in Milano il 18 settembre 1996, allorche' la perquisizione disposta con i citati decreti ex art. 250 c.p.p. a carico di Marchini Corinto e demandata per l'esecuzione dal procurarore della Repubblica di Verona alla locale sezione della Digos veniva estesa ad un locale ritenuto nella disponibilita' del Marchini presso la sede di Milano del partito Lega Nord. Nel corso del giudizio, che si svolgeva nell'arco di piu' udienze con l'iniziale presenza degli imputati Bossi, Caparini, Martinelli e Calderoli - poi assentatisi - e nella contumacia degli imputati Maroni e Borghezio il pretore con ordinanza ampiamente motivata resa in data 16 aprile 1998 rigettava l'istanza di sospensione del procedimento proposta dalla difesa con riferimento all'art. 68 primo comma della Carta costituzionale, nonche' riteneva la manifesta infondatezza della subordinata eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 555 c.p.p., sollevata in relazione agli artt. 3 e 25 della medesima Carta costituzionale. Il giudicante - dato atto delle due missive inviate in data 13 e 30 marzo 1998 dalla Presidenza della Camera dei deputati con le quali veniva comunicato che per iniziativa dei parlamentari imputati gli atti concernenti i fatti loro ascritti erano stati trasmessi per la valutazione di insindacabilita' alla competente, giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio - rilevava che ai sensi del comma primo del citato art. 68 della Costituzione, come innovato con legge cost. n. 3/1993 ed alla stregua dei principi espressi in materia dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 443/1993 e 265/1997, non era ravvisabile l'ipotesi di carenza di giurisdizione del giudice ordinario, al quale era inibito di pronunciarsi difformemente in merito alle imputazioni (fatta salva la facolta' di sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale) solo a seguito del concreto esercizio - nel caso specie non ancora intervenuto - da parte della Camera del potere di valutare e qualificare positivamente, a tutela delle prerogative parlamentari, l'insindacabilita' della condotta ascritta ai propri membri; riteneva pertanto che, nelle more della decisione adottanda dalla Camera, non sussistesse alcun obbligo per il giudice di sospendere il procedimento, ma questi fosse tenuto alla valutazione autonoma e preliminare circa l'eccepita insindacabilita' dei fatti sottoposti a suo giudizio, valutazione che di fatto compiva negativamente alla stregua della natura e delle modalita' dei fatti addebitati e della loro esplicazione al di fuori della sede parlamentare. Proseguito il giudizio, all'esito del dibattimento il pretore pronunciava sentenza in data 22 luglio 1998 con la quale affermava la responsabilita' degli imputati per i delitti loro ascritti in concorso; ravvisata la continuazione tra i fatti e concesse a tutti le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, infliggeva a Bossi Umberto la pena di mesi sette di reclusione e ai restanti imputati Maroni Roberto, Borghezio Mario, Caparini Davide Carlo, Martinelli Piergiorgio e Calderoli Roberto la pena di mesi otto di reclusione, con i doppi benefici di legge per tutti, ad eccezione che per Martinelli che fruiva del solo beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo per questi precluso quello della non menzione della condanna da un precedente penale. Inoltre condannava gli imputati in solido al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separata sede - nonche' alla rifusione delle spese a favore della parti civili costitituite, ispettore Amadu Giovanni e agente Casale Claudio (che nella vicenda, al pari di altri operanti non costituitisi, avevano subito lesioni personali), con assegnazione di provvisionale di lire 5 milioni per ciascuna di dette parti. In motivazione il pretore, dopo aver respinto le eccezioni preliminari sollevate dai difensori - in specie l'eccezione di incompetenza del giudicante per essere competente il tribunale in relazione all'aggravante di cui all'art. 339 c.p., contestata in ordine ai fatti di resistenza, e l'eccezione di immunita' in relazione alla posizione di Bossi Umberto per la sua qualita' di parlamentare europeo - riteneva connotate da sicura attendibilita' le testimonianze sostanzialmente concordanti rese in giudizio dagli operanti e riscontrate dai filmati ripresi dalle emittenti televisive sia pubbliche che private presenti in luogo (TG RAI, TG 4, TG 5, Antenna Tre), a confronto con quelle, di piu' dubbia attendibilita', rese dai simpatizzanti di partito e dai giornalisti presenti (la cui percezione dei fatti appariva viziata dal contesto ambientale). Dava quindi conto, sulla scorta delle risultanze dibattimentali ed in specie delle visioni fornite dai filmati, della dinamica della vicenda come di seguito sintetizzata: la perquisizione aveva esecuzione frazionata giacche' gli operanti, sotto la guida del commissario dott. Pallauro, giunti nella mattinata presso la sede di via Bellerio - onde estendere, come da decreto dispositivo dell'atto di indagine, la perquisizione a carico del Marchini presso un locale che questi aveva indicato essere ivi nella sua disponibilita' - incontravano l'opposizione dei presenti e ritenevano pertanto di rivolgersi per istruzioni al procuratore di Verona; ritornati in luogo nel pomeriggio in possesso di provvedimento integrativo con ordine di procedere, trasmesso via fax dalla competente procura, e rinvenuta la presenza di numerosi simpatizzanti di partito oltre che quella, non da loro sollecitata degli organi di stampa e dei "media" in genere, dovevano affrontare, dopo una prima contestazione di non autenticita' del provvedimento trasmesso, il cordone formato sin dall'atrio di entrata dagli attuali imputati e da altri soggetti aggregatisi, quindi la difficoltosa ascesa, nell'assembramento di persone e con l'accompagnamento di cori di insulti che vedevano promotore il Borghezio, della prima rampa di scale e il percorso di un corridoio per poi ridiscendere sino al sottoscala ove era ubicato il locale al quale erano diretti; era durante questo tragitto - che, benche' non rappresentasse l'unica e piu' comoda via di accesso, veniva seguito presumibilmente perche' indicato proprio dal Marchini - che si verificavano reiterati atti di aggressione fisica oltre che verbale nei confronti dei pubblici ufficiali ed in particolare gli specifici episodi di violenza descritti nel capo A) di imputazione, riconducibili all'azione rispettivamente di Maroni, di Bossi e di Caldarini e documentati dai filmati televisivi; sulla porta del locale in questione risultava apposto un cartello cartaceo la cui indicazione dattiloscritta "Segreteria politica - Ufficio on. Maroni" induceva il comm. Pallauro ad un ulteriore contatto telefonico con il procuratore della Repubblica, che dava ordine di portare a termine la perquisizione; la prosecuzione dell'operazione, culminata infine con lo sfondamento della porta, era tuttavia ostacolata con vari atti di aggregazione dagli imputati accalcati davanti alla porta e in particolare era in tale contesto che il comm. Pallauro, come mostrato dai filmati, veniva stretto tra gli imputati Martinelli e Borghezio il quale ultimo lo afferrava per la cravatta come per soffocarlo; la vicenda vedeva da ultimo l'on. Maroni subire un malore e venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso ospedaliero, ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela, oggetto di separato procedimento. Cosi' ricostruita la vicenda, il pretore escludeva la ricorrenza dell'ipotesi di resistenza passiva, alla stregua dei ripetuti atti di violenza commessi dagli imputati a danno dei vari poliziotti; ravvisava nei fatti il concorso materiale o quanto meno morale, sotto il profilo del rafforzamento del proposito criminoso, degli imputati stessi; non riteneva sussistente l'esimente di cui all'art. 4 d.lgs. n. 288/1944, sia in relazione all'estensione nei locali della Lega Nord della perquisizione - legittimamente disposta con decreto ex art. 250 c.p.p.. corredato da decreto integrativo trasmesso via fax, la cui conformita' all'originale risultava certa pur in difetto dell'attestazione di cui all'art. 42 disp. att. c.p.p. - sia in riferimento alle modalita' di esecuzione, in assenza di prova dei pretesi comportamenti arbitrari come pure arroganti o ingiustificatamente sgarbati delle forze dell'ordine che anzi avevano mostrato, nonostante l'indubbia tensione sofferta una condotta prudente ed equilibrata; osservava da ultimo che la reazione degli imputati risultava in ogni caso sproporzionata e che quand'anche essi avessero percepito come illegittima la perquisizione, sarebbero stati comunque tenuti ad avvalersi dei mezzi consentiti dall'ordinamento giuridico per opporvisi. Di qui la pronuncia di condanna. La sentenza e' stata impugnata davanti a questa Corte dagli on. Bossi, Calderoli, Caparini e Martinelli, con atto congiunto, nonche' dall'on. Borghezio con separato appello. Il difensore di Bossi, Calderoli, Caparini e Martinelli ha dedotto in primo luogo l'insussistenza dei fatti di reato addebitati ai suoi assistititi e la loro mancata commissione da parte degli stessi, lamentando il mancato rigo re del primo giudice nel valutare le testimonianze rese dagli operanti, specie a raffronto delle divergenti dichiarazioni dei giornalisti; ha eccepito la ricorrenza di brutalita' e di atti di aggressione fisica e verbale da parte dei poliziotti, non riconosciuta dal Pretore, e la parzialita' dell'efficacia probatoria dei filmati - diretti a rappresentare solo specifici momenti e non il complessivo quadro della vicenda - rilevando per altro verso l'incompatibilita' della ricostruzione operata in sentenza con le certificate lesioni subite dal coimputato Maroni; ha ribadito che l'opposizione esercitata degli imputati era motivata dalla illegittimita' della perquisizione in atto, e non da intento di sterile resistenza. In via subordinata ha chiesto la declaratoria di non doversi procedere nei confronti degli imputati ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n 288/1944, sia per l'illegittimita' della perquisizione disposta con provvedimento invalido ed eseguita in un ufficio che, come risultato in dibattimento, non era nella disponibilita' dell'indagato Marchini. sia perche' essa integrava violazione del domicilio del parlamentare Maroni, sia infine per il comportamento scorretto e di sostanziale ricerca dello scontro fisico degli operanti, che non avevano inteso utilizzare la via di accesso piu' facile, e non presidiata, al locale da perquisire. A sua volta il difensore di Borghezio Mario, riproposta con il primo motivo di appello l'eccezione di incompetenza per materia gia' disattesa dal pretore, con il successivo motivo ha chiesto l'assoluzione del suo assistito dal reato di resistenza, per non aver commesso il fatto, per difetto di prova circa un suo comportamento attivo o di rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, ovvero quanto meno perche' il fatto non costituisce reato, stante la palese illegittimita' della perquisizione di locali costituenti domicilio di parlamentari e l'arbitrarieta' della condotta dei pubblici ufficiali operanti. Quanto al ritenuto reato di oltraggio, il difensore ha invocato l'insindacabilita' delle opinioni espresse dal suo assistito nella veste di parlamentare. Da ultimo ha lamentato l'eccessivita' della pena, da ridursi per giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche gia' concesse e per il riconoscimento dell'ulteriore attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., si' da poter pervenire a sostituzione della sanzione detentiva con quella pecuniaria ai sensi dell'art. 53, legge n. 689/1981. In data 26 marzo 1999, nelle more del rinvio dell'udienza fissata per il giudizio di secondo grado, disposto per motivi procedurali (mancata notifica per l'imputato Bossi e omesso avviso ad un difensore), e' pervenuta a questa Corte comunicazione della Presidenza circa le deliberazioni adottate dalla Camera dei deputati sulle proposte della giunta per le autorizzazioni a procedere, con successive votazioni per ciascuno dei membri qui imputati, nella recente seduta del 16 marzo 1999. La Camera si e' espressa per l'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo comma della Carta costituzionale dei fatti oggetto di entrambe le imputazioni, ravvisando negli stessi l'espressione di opinioni da parte di parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni, per quanto attiene agli onorevoli Maroni, Bossi, Caparini, Martinelli e Calderoli, conformemente ha deciso nei confronti dell'onorevole Borghezio per quanto concerne l'imputazione di oltraggio aggravato di cui al capo b), e per contro diversamente - a quanto risulta dall'allegato, reseconto stenografico della seduta, per un disguido intervenuto nella relativa votazione - in relazione ai fatti di resistenza di cui al capo a), negandone per tale imputato l'insindacabilita'. Con riferimento a quest'ultimo reato, occorre rilevare che le deliberazioni della Camera si sono discostate dalla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si era pronunciata nel senso che i fatti oggetto dell'imputazione di resistenza non potessero ricondursi a opinioni espresse da deputati nell'esercizio delle funzioni parlamentari, limitando la valutazione di insindacabilita' ai fatti contestati con l'imputazione di oltraggio. In ordine al ravvisato conflitto di attribuzioni. Il relatore on. Antonio Borrometi, nella relazione depositata e illustrata nella seduta parlamentare del 16 marzo 1999,ha motivato le distinte proposte della giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio nel senso che gli atti integranti l'ipotesi di reato di resistenza addebitato al capo a) di imputazione agli on. Maroni, Bossi, Borghezio, Caparini, Martinelli e Calderoli fossero - per loro natura violenta - estranei, come era giudizio largamente prevalente dei membri della Giunta, a qualsivoglia manifestazione di opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari ovvero alla prospettata prosecuzione di una simile manifestazione in forma di particolare veemenza e pertanto dovessero ritenersi palesemente esclusi dall'ambito di applicabilita' dell'art. 68, primo comma della Costituzione; che, diversamente, le espressioni utilizzate dai deputati e oggetto dell'imputazione del reato di oltraggio di cui al capo b), benche' in astratto di natura ingiuriosa, fossero riconducibili sostanzialmente a manifestazione di critica politica e dunque di opinioni, nel contesto di una protesta di valore anche simbolico svolta da deputati esponenti di un partito politico di opposizione, in presenza di rappresentanti della pubblica opinione, contro un'attivita' delle Forze dell'ordine che, sia pure legittima, appariva invasiva e penalizzante nei confronti del partito stesso. Quanto all'attinenza dei fatti in esame con le funzioni parlamentari, il relatore ha fatto riferimento - come meglio si dira' in seguito - al1e tesi e finalita' politiche ispiratrici di siffatta protesta e perseguite dai deputati della Lega Nord anche nell'ambito della Camera. Il difforme esito delle votazioni in aula, quanto alla deliberata estensione del giudizio di insindacabilita' anche ai fatti di resistenza ascritti al capo A) (con eccezione nei soli confronti dell'on. Borghezio), appare motivato dal rilievo del carattere da ritenersi meramente formale, ad avviso degli intervenuti nella discussione, della distinzione tra le due ipotesi delittuose addebitate e della medesima finalita' che animava i parlamentari imputati nella complessiva vicenda. Ora, questa Corte ha piena consapevolezza del carattere vincolante delle deliberazioni della Camera e della preclusione di censure che attingano le stesse nel merito. Cio' che tuttavia intende contestare e' la valutazione che la Camera ha operato in ordine ai presupposti di applicabilita' dell'art. 68 della Costituzione. Tale norma, invero, nella sua portata testuale e nell'interpretazione reiteratamente datane dalla Corte costituzionale, pone quale condizione essenziale dell'insindacabilita' dei comportamenti tenuti e delle opinioni espresse dai membri del Parlamento la sussistenza di un nesso funzionale fra questi e l'esercizio del mandato parlamentare. La stessa Corte, nel definire il contenuto e i limiti della funzione parlamentare, ha, peraltro, tracciato in termini netti l'ambito di operativita' di tale necessario collegamento, affermando da un lato che "la funzione parlamentare non si risolve solo negli atti tipici, ricomprendendo anche quanto di essi sia presupposto e conseguenza" e d'altro canto, che non e' possibile ricondurvi l'intera attivita' politica svolta dal deputato o senatore, in quanto "tale interpretazione finirebbe per vanificare il nesso funzionale posto dall'art. 68, primo comma e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale" (sentenza n. 289/1998 e 375/1997. Orbene, sembra ai giudicanti che, nel caso concreto, la ricorrenza di quel nesso funzionale sia da porsi in fondato dubbio e che le motivazioni addotte dal relatore - per giunta a sostegno della sola insindacabilita' dei comportamenti qualificati ex art. 341 c.p. - non diano conto di un iter argomentativo confacente al dettato costituzionale e alle autorevoli indicazioni fornite dalla Corte in ordine ai criteri cui attenersi nell'applicazione dell'art. 68, primo comma. Posto che nel corso del dibattito che ha preceduto la delibera della Camera si e' fatto riferimento al contesto cui i fatti oggetto di procedimento penale sono maturati, e' il caso di sottolineare che questi si collocano nell'ambito di una perquisizione locale, disposta dal p.m. nei confronti di un soggetto non coperto da immunita' parlamentare ed estesa ad un locale di presunta pertinenza dello stesso all'interno della sede della Lega Nord, sede privata di un partito politico. Il relatore on. Borrometi ha indicato l'attinenza con le funzioni parlamentari delle espressioni addebitate ai parlamentari esponenti della Lega Nord e riportate al capo b) di imputazione, nella decisa battaglia dagli stessi condotta anche in sede parlamentare a favore delle loro tesi politiche "tanto da ottenere la legittimazione della denominazione del loro gruppo parlamentare, il cui fine ... e' individuato nella "indipendenza della Padania . In questo senso - ha concluso - la viva protesta, anche attraverso epiteti ingiuriosi, a fronte di una attivita' della Polizia che, sia pur legittima, appariva simbolicamente come una minaccia nei confronti di tali fini, puo' essere qualificata come manifestazione di opinioni espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari". Ora questi giudici dubitano che - stando alla prospettazione fattane dal relatore - l'azione di difesa di una tesi strettamente programmatica politica, configuri, solo perche' non estranea a rivendicazioni avanzate anche nell'ambito parlamentare, quel nesso con le funzioni proprie dei deputati - quand'anche da intendersi estese all'espletamento del mandato ricevuto dagli elettori e non circoscritte intra moenia - che, come si e' sopra detto, e' presupposto essenziale del potere valutativo attribuito alle Camere circa l'insindacabilita' delle opinioni e dei comportamenti dei membri di rispettiva appartenenza; che siffatta difesa non sia piuttosto e rimanga un'azione di natura meramente politica, spiegata in sede di partito a scopi dimostrativi e divulgativi, come del resto evidenziato dallo stesso relatore. Tanto meno il nesso funzionale occorrente appare ravvisabile con riferimento ai comportamenti ricondotti nella fattispecie di cui all'art. 337 c.p., la cui rilevanza penale sta nella contrapposizione violenta a quello stesso potere statuale di cui la funzione parlamentare e' espressione di rango elevato. E' del resto significativo che la stessa giunta per le autorizzazioni a procedere, formulando le proposte. avesse ritenuto di escludere ogni possibile collegamento tra le condotte contestate a titolo di resistenza, ancorche' lette nel contesto di protesta ideologica in cui si muove l'azione politica della Lega Nord, e le funzioni parlamentari esercitate dagli imputati. Neppure appare giovane sotto tale profilo di richiamo, che parrebbe emergere dagli interventi in sede di dibattito in aula, a forme di tutela della liberta' di associazione e di manifestazione di pensiero, ed ossia a quei diritti primari garantiti dagli artt. 18 e 21 della Costituzione, peraltro nei confronti della generalita', dei cittadini, a prescindere dalle funzioni esercitate, e ovviamente in un quadro di compatibilita' con il rispetto di altri diritti, quale il diritto della persona all'integrita' fisica e morale, nonche' dei principi ordinamentali dello Stato, pure assistiti da pari garanzia costituzionale. Conseguentemente questa Corte reputa che sia del tutto opinabile la correttezza del processo valutativo compiuto dalla Camera dei deputati nel caso in esame; rileva che in tale modo si e' venuto a comprimere la sfera di attribuzione propria del potere giudiziario, precludendo la cognizione ad essa Corte demandata con gli appelli proposti in ordine alla rilevanza penale dei fatti contestati e alla loro riferibilita' agli imputati. Intende dunque avvalersi della potesta' del giudice ordinario, reiteratamente riconosciuta in tale situazione dalla Corte costituzionale (sentenze n. 443/1993 e 129/1996), di sottoporre a verifica del medesimo organo di giurisdizione costituzionale l'uso del potere esercitato dalla Camera con specifico riferimento alla ricorrenza e non arbitraria valutazione di quel nesso essenziale tra le "opinioni espresse" dai deputati e l'esercizio della funzione parlamentare, richiesto dall'art. 68 primo comma della Costituzione, e allo scopo sollevare conflitto di attribuzioni ai sensi dell'art. 37, legge n. 87/1953. Dispone pertanto che gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale per la soluzione del conflitto tra poteri dello Stato cosi' sollevato (soluzione che appare preliminare anche all'esame dell'eccezione di immunita' gia' disattesa dal primo giudice e nuovamente prospettata in udienza davanti a questa Corte nell'interesse di Bossi Umberto, quale parlamentare europeo); di conseguenza da' atto della sospensione necessaria del procedimento penale a carico di Maroni Roberto, Bossi Umberto, Caparini Davide Carlo, Martinelli Piergiorgio e Calderoli Roberto in relazione ad entrambe le imputazioni elevate ed a carico di Borghezio Mario in relazione all'imputazione di cui al capo B). Dispone altresi', ravvisando la necessita' di trattazione unitaria in ragione di connessione ex art. 12, comma 1, lett. a) e lett. b) la sospensione del procedimento a carico di Borghezio Mano, avente ad oggetto l'imputazione di cui al capo A).